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Month: February 2019

La trasparenza dell’Agenzia delle Entrate in tema di Fattura Elettronica

La trasparenza dell’Agenzia delle Entrate in tema di Fattura Elettronica

Volendo fare luce su alcune delle scelte tecnologiche effettuate in tema di “Sistema di Interscambio” (Fattura Elettronica), come avevo anticipato nel precedente post sull’argomento (se non lo avete già letto lo trovate qui), un gruppo di professionisti si è riunito ed inviato, sia a Sogei (società che gestisce la piattaforma) che ad Agenzia delle Entrate una Istanza di Accesso Civico Generalizzato (FOIA) richiedendo:

Tutti i documenti di collaudo inerenti gli sviluppi software di applicazioni informatiche inerenti il sistema di Fattura Elettronica divenuto obbligatorio in data 1.1.2019 (SDI).

Tutti i documenti di analisi di sicurezza informatica, specificamente rivolti ad analizzare, verificare eventuali problematiche di sicurezza applicative e/o infrastrutturali relative al servizio di Fattura Elettronica di cui sopra.

L’accesso a questi documenti permetterebbe una analisi esterna dell’architettura nonché l’avvio di una ben più aperta conversazione allo scopo di migliorare questa piattaforma che, pare, accompagnerà l’Italia per molti anni a venire. Il testo completo della richiesta, se siete curiosi, potete leggerlo qui.

Abbiamo deciso di inviare questa richiesta soprattutto alla luce dei molti enti pubblici nel mondo che stanno infatti intraprendendo la via della trasparenza totale: Swiss Post, per esempio, interessata a confermare/verificare la sicurezza del proprio portale di e-voting (voto online), ha pubblicato il codice sorgente della piattaforma e ha invitato esperti ed interessati ad un “Public Intrusion Test”. Non garantirà ai partecipanti solo un safe harbour legale e il diritto di pubblicazione delle loro scoperte, ma offrirà anche una ricompensa economica a chi scoverà delle vulnerabilità.

In settimana però abbiamo ricevuto la risposta da parte dell’AdE, la quale ci comunica che:

…valutata la probabilità e serietà del danno ai correlati interessi, nonché il rischio di pregiudizio ai beni e interessi tutelati dall’ordinamento in rapporto all’interesse conoscitivo del richiedente, l’istanza non viene accolta.

Accesso negato, quindi. Questo appare come un tentativo di mantenere alcune informazioni segrete secondo il principio (ampiamente contestato) di “security through obscurity“: un qualcosa di opposto ad esempi come quello di Swiss Post e delle decine di altri enti pubblici che rilasciano il codice dei loro applicativi sotto licenze Open Source.

Di seguito acuni punti salienti del loro rifiuto (la cui versione integrale è qui):

All’esito della valutazione effettuata, si ritiene che dall’ostensione dei documenti richiesti possa derivare un pregiudizio concreto ai predetti interessi pubblici, rispetto ai quali recede l’interesse del singolo alla conoscibilità dei dati, dei documenti e delle informazioni in possesso della pubblica amministrazione.

I documenti oggetto di richiesta, infatti, contengono informazioni idonee a disvelare l’architettura del sistema di interscambio, anche con riferimento alle caratteristiche di sicurezza dello stesso e alle relative misure progettate e realizzate a protezione del suo funzionamento e dei dati ivi contenuti.

L’accesso a tali documenti, pertanto, risulta concretamente idoneo ad arrecare grave pregiudizio alla salvaguardia dell’interesse patrimoniale dell’Erario.

Sotto altro profilo, occorre rilevare che l’ostensione dei documenti richiesti comprometterebbe, altresì, la sicurezza delle informazioni relative ai sistemi informatici utilizzati nell’ambito del processo di fatturazione elettronica.

I due paragrafi che seguono sono particolarmente interessanti:

Occorre inoltre evidenziare che le finalità per le quali il legislatore riconosce il diritto di accesso civico generalizzato sono quelle “di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.

La comunicazione dei documenti richiesti appare evidentemente non pertinente ed eccedente rispetto a tali finalità.

Noi abbiamo infatti richiesto i documenti per verificare l’adeguatezza, la sicurezza e l’architettura di un sistema dal quale dipenderà l’economia di un intero paese (e che tutti noi abbiamo finanziato), sulla base di osservazioni effettuate sul materiale già di pubblico dominio: scopi che sembrano ricalcare parola per parola gli scopi dell’accesso civico generalizzato.

I documenti richiesti sono di carattere prettamente architetturale, informazioni di alto livello che, come è chiaro ad un qualunque esperto di infrastrutture, sono ben lontane dal causare un diretto rischio per la sicurezza o la stabilità di una infrastruttura.

AdE ha nel frattempo emesso un nuovo comunicato in cui sostanzialmente, nuovamente, conferma che il Sistema di Interscambio stia funzionando a dovere. Al comunicato ha però prontamente risposto l’Associazione Nazionale Commercialisti, segnalando qualcosa di diametralmente opposto: in molti casi i tempi di consegna delle fatture non sono rispettati (30 giorni al posto di 5), si riscontrano problemi tecnici di varia natura, e, a conferma di quello che era il più grande timore, iniziano ad emergere problemi intrinseci del protocollo di interscambio.

Quando potremo contare su un livello di trasparenza adeguato per un paese che vuole guardare avanti ed evolversi, e non indietro?

I dubbi sulla tecnologia del Sistema di Interscambio (Fattura Elettronica)

I dubbi sulla tecnologia del Sistema di Interscambio (Fattura Elettronica)

Essendo l’Italia detentrice del Guinness World Record per le catastrofi tecnologiche, dalla Posta Elettronica Certificata (PEC) ai vari down dei siti istituzionali durante elezioni e censimenti, non ho potuto sottrarmi dal dedicare le mie attenzioni a Sistema di Interscambio e Fattura Elettronica.

Tutto è iniziato quando mi sono trovato sommerso nella valanga di commenti negativi di utenti che segnalavano problemi tecnici e di sviluppatori che si lamentavano della complessità di implementazione e del basso livello di qualità delle API del SdI. Dopo aver passato qualche serata a studiarne le specifiche (pubblicate qui), mi sento di condividere i dubbi sulla qualità dell’implementazione, dell’infrastruttura e della gestione di quest’ultimo.

Vi starete chiedendo il perchè, immagino. Le osservazioni più rilevanti, in ordine sparso, sono:

  • Le API si basano su SOAP+XML, uno standard superato dal molto più diffuso REST+JSON. Non si tratta solamente di una questione estetica: l’utilizzo di tecnologie obsolete scarica sugli sviluppatori che devono utilizzare queste API una complessità che non potrà che crescere nel tempo. Utilizzare librerie deprecate o poco supportate e standard non più ampiamente utilizzati significa diventare parte di una nicchia, con svantaggi e problemi facilmente immaginabili.
  • I template WSDL pubblicati contengono URL come http://servizi.fatturapa.it/ e http://www.fatturapa.it/): tutte in chiaro, nessuna traccia di HTTPS. Va detto che un redirect verso HTTPS lo effettuano, ma questo modo di procedere lascia comunque aperti vari scenari di attacco Man in The Middle. Potrebbe trattarsi di semplici segnaposto, ma anche se fosse, per quale motivo diffondere dei template che contengono simili oscenità?
  • Gli endpoint SOAP non sono protetti da una CDN che possa permettere di bloccare flooding e attacchi più sofisticati che malintenzionati potrebbero lanciare contro la piattaforma: si possono solo immaginare gli effetti catastrofici che l’indisponibilità del SdI avrebbe sull’economia dell’intero paese (parlavo giusto qualche giorno fa di come realtà quali Netflix e Spotify siano più resistenti di molte infrastrutture critiche nazionali).
  • I frontend, some se non bastasse, sono tutti all’interno dello stesso range di IP, annunciato da AS33964 (Sogei) a due soli carrier prettamente nazionali, Fastweb e BT Italia.

Sia chiaro: queste scelte potrebbero avere serie motivazioni alle spalle, e non possiamo valutarle come “sbagliate” a priori e dal nostro punto di osservazione esterno. La loro distanza dalla pratica comune però garantisce il diritto, il dovere quasi, di fare delle domande e metterle sotto la lente, per assicurare siano la scelta migliore per tutti noi.

Un tema che è importante discutere è infatti quello della trasparenza (trattasi pur sempre di Pubblica Amministrazione, che lavora con i soldi dei cittadini e per i cittadini). Mentre le segnalazioni di difficoltà e ritardi nell’elaborazione non si fermano (basta fare una ricerca sui social media), ad esempio, l’Agenzia delle Entrate diffonde comunicati stampa in cui sostiene che:

“sul sistema di interscambio sono già transitate quasi un milione e mezzo di fatture elettroniche senza che il partner tecnologico Sogei abbiano (sic.) rilevato alcun problema tecnico”

Il valore di una simile affermazione è nullo se non contestualizzato: non serve a niente sapere quante sono le fatture processate se non sappiamo quante ne sono invece fallite, quante sono quelle emesse lo scorso anno nello stesso periodo con metodo cartaceo, qual è il tempo medio di elaborazione, etc.

Molti interrogativi ma poche risposte, quindi. Per trovarle abbiamo riunito alcuni dei professionisti che si erano espressi sulla piattaforma e inviato sia all’Agenzia delle Entrate che a Sogei una Istanza di Accesso Civico Generalizzato (FOIA), richiedendo copia dei documenti relativi a progettazione, sicurezza e manutenzione del SdI.

L’intenzione, una volta entrati in possesso di questi documenti, è quella di studiarli e avviare un dibattito aperto sui punti sopra espressi e quanto di nuovo dovesse emergere: è responsabilità di tutti noi. Vi terremo aggiornati.

UPDATE: qui trovate la seconda parte di questa odissea.

(per domande, richieste varie o se volete contribuire, potete contattarmi qui o su Twitter)

Il Cloud spiegato a Nonna Pina: l’alta affidabilità

Il Cloud spiegato a Nonna Pina: l’alta affidabilità

Noi nerd soffriamo di una patologia che spesso ci porta a dare per scontato che chiunque abbia ben chiaro ciò che, al contrario, è chiaro solo a noi.

Io non sono un nativo delle nuvole: so cosa sono i server, so cosa sono i RAID, e so anche dove si nascondono le birre in datacenter. Nelle mie frequentazioni risalenti a quell’era geologica ho una completa rappresentazione delle idee sbagliate che i sistemisti, gli sviluppatori o gli IT manager hanno in tema di cloud computing.

…e non sono poche: complici sicuramente campagne di marketing di compagnie “wannabe” traboccanti di buzzword (da #cloud a #blockchain passando per #ai), la confusione e quindi l’incomprensione è sempre in agguato. Da qui l’idea di una serie di post, scritti in modo (quasi) semplice, che abbiano lo scopo di spiegare (anche a Nonna Pina, per l’appunto) i fondamenti di questo, per qualcuno, nuovo mondo.

Partiamo da un tema molto caldo: l’alta affidabilità nel cloud. Quello che insomma spinge in media ogni due giorni un sistemista a lamentarsi nel suo gruppo Facebook di fiducia di qualcosa del tipo “…mi avevate detto che il cloud è super affidabile, ci ho spostato la mia macchina virtuale e dopo tre mesi era già down!”.

Questo è senza dubbio il salto concettuale più complesso: nel mondo pre-cloud l’alta affidabilità veniva implementata negli strati più bassi della piramide: si usavano server con componenti ultra ridondati, fatti per non guastarsi mai, collocati in datacenter sotterranei (o con scudi esterni in acciaio), progettati per resistere a qualunque attacco o avversa condizione esterna e, in sostanza, non spegnersi mai.

Un approccio sicuramente molto comodo per chi si occupa dell’applicativo che in questo resta totalmente agnostico perchè pensa a tutto l’infrastruttura sottostante, ma con un numero importante di problemi al seguito. Iniziando dal fatto che un simile modello è sostenibile solo su un singolo datacenter o al massimo un paio, a patto che siano molto vicini geograficamente: i costi crescono in modo sproporzionato, e si arriva comunque ad una situazione sub-ottimale sia di latenza per gli utenti finali (se i DC sono vicini tra loro non possono essere anche vicini agli utenti) che di rischio (sarebbero soggetti alle stesse minacce di tipo metereologico e geologico). Come se questo non bastasse, la scalabilità viene limitata in modo importante, richiedendo di fatto che ogni componente della vostra infrastruttura sia rinchiuso in una ed una sola VM.

Siamo di fronte ad uno dei cambiamenti di paradigma più radicali che il cloud abbia portato: l’alta affidabilità si sposta sugli strati più alti della piattaforma e si basa sul presupposto che ogni componente dell’infrastruttura possa fallire in qualunque momento, sia esso una VM, un datacenter o un intero campus. Notate il salto? Ci siamo evoluti dall’usare componenti indistruttibili pur sapendo non fosse possibile considerare ogni casistica al dare per scontato che tutto ciò che può succedere succederà, e quindi al pianificare reazioni automatiche a qualunque tipo di guasto. Si è passati da un paradigma molto costoso che non poteva considerare ogni eventualità ad un paradigma molto più economico, in cui si progetta tenendo sempre in considerazione il peggiore caso possibile.

Questo vi farà sicuramente riflettere: NukeMap alla mano, con una sola bomba nucleare in un punto strategico un attaccante potrebbe cancellare dalla faccia della terra i vostri conti correnti e infrastrutture critiche nazionali (in Italia ed in Europa, non conosco le leggi/pratiche comuni nel resto del mondo), ma non potrebbe scalfire minimamente le vostre playlist Spotify o i vostri post su Facebook. Quello che alcuni definirebbero “evento catastrofico” è per altri “ordinaria amministrazione”. Se non vogliamo guardare a casi così catastrofici, scommetto che almeno una volta nell’ultimo anno non siete riusciti ad accedere all’home banking della vostra banca a causa di una manutenzione programmata. Vi è mai capitato lo stesso su Snapchat o su Netflix? No? Esattamente.

A riprova del fatto che il focus si sia spostato dall’evitare gli imprevisti al gestirli, ci siamo addirittura inventati il Chaos Engineering: l’idea, anzi, la pratica di causare artificialmente guasti e disastri in produzione per verificare che le nostre piattaforme siano in grado di gestirli senza che gli utenti finali ne risentano.

Ricapitolando, quindi, l’alta affidabilità nei sistemi IT tradizionali si fonda sull’implementare infrastrutture sotto vari aspetti sub-ottimali usando componenti, costosi e complessi, progettati per non fallire mai. Nel paradigma cloud, al contrario, si implementano infrastrutture utilizzando componenti semplici e quindi economici, consci del fatto che questi prima o poi si romperanno e quindi progettando le applicazioni per gestire senza impatto le situazioni avverse.

…chiaro?

[nel prossimo capitolo a Nonna Pina spiegheremo invece i fondamenti di scalabilità]