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Author: Giorgio Bonfiglio

No al low-cost: davvero una scelta?

No al low-cost: davvero una scelta?

Eh si. Questa è la domanda.

Mi ricordo un post su un blog che ho letto tempo fa, TANTO tempo fa, quando il low-cost come lo intendiamo oggi (per intenderci, parlo dell’era “tophost” non dell’era “aruba”) era ancora agli inizi. Non ricordo le parole precise e non riesco a ritrovarlo (la rete è grande), ma diceva qualcosa tipo:

“Per offrire hosting a 30 € annui servono un server e una licenza Plesk. Per offrire hosting a 10 o 1200 € serve una infrastruttura.”

La frase può sembrare banale, ma racchiude una interessante distinzione. In pratica, offrire un servizio a 10 € è complicato e richiede investimenti come un servizio di alto livello. Non a caso, e qui il riscontro è immediato, tutte le aziende che nascono in questi anni, si stabilizzano su quella fascia di offerte e prezzi, non sul low-cost estremo o sull’alto livello.

Le realtà che offrono low-cost estremo, come lo ho definito, infatti, quali sono, in italia? Tophost, che ha una infrastruttura leggendaria e che sicuramente ha alzato all’infinito i costi di startup. Netsons che ha potuto lanciare questo tipo di servizi solo dopo 3 anni di esperienza sull’hosting gratuito. OVH, che non è proprio l’ultima arrivata (qui però va fatto notare che il loro pacchetto gratuito e quello a 14 €/anno sono spariti da qualche mese). Per ultimo, in ordine di tempo, Web4Web, che nasce dalla decennale esperienza della Guest SRL. Così, a memoria, altri non me ne vengono.

I motivi? Prima di tutto, va minimizzato l’intervento umano, perchè far fare una cosa ad un umano costa. Far far la stessa cosa ad una macchina, nella maggior parte dei casi, ha un costo trascurabile. Questo significa studiare un sistema di gestione clienti automatico, creare una buona KB per i clienti, semplificare e minimizzare le procedure.

Il secondo problema è relativo alle macchine stesse. In questo tipo di low-cost si arriva a toccarne i limiti. Mettere 10 000 siti a carico 0 su un server non è semplice come lo è metterne 300 molto frequentati: servono sistemi di gestione e di controllo del carico, perchè il minimo overload, il minimo bug di uno script o un semplice errore di un utente possono, in ambienti normali, far volare giù la macchina, creando disagi agli altri 9999 clienti.

Insomma, parliamo di problemi non indifferenti, che richiedono soluzioni non indifferenti che hanno costi non indifferenti. Siamo abbastanza lontani dall’ordinare un server da ovh, installarci plesk, aprire una partita IVA e iniziare a rivendere hosting.

Alla luce di tutto questo discorso la domanda è: le realtà di piccola/media grandezza, che dichiarano di “non voler entrare nel low-cost”, lo fanno per reale scelta o perchè, semplicemente, non possono entrarci?

Credo che la mia risposta sia chiara dopo questo articolo :), però sarebbe interessante avere altri pareri.

Giorgio

Quanto tempo resta agli ambienti monolitici?

Quanto tempo resta agli ambienti monolitici?

lamp

Come dicevo, negli ultimi mesi ho dedicato moltissimo tempo allo studio delle infrastrutture che stanno dietro ai servizi cosiddetti “Cloud” più utilizzati al giorno d’oggi (Google, Youtube, Facebook, Amazon, Linkedin, Azure etc).

Il motivo è semplice: gli ambienti LAMP usati fino ad ora (e qui mi riferisco alle classiche strutture utilizzate dalla maggior parte degli hosting provider, un server con su installato mysql, apache, php), non coprono le più basilari necessità di un sito web. Stiamo parlando, sia chiaro, di un sito qualunque, quale può essere il mio blog.

Mi spiego meglio: fino a qualche anno fa (ma, oserei dire, qualche mese fa, perchè, alla fine, l’esplosione di questo cloud computing è stata tutta questa estate), era assolutamente normale, quando il pacchetto hosting non bastava più (spazio esaurito, costanti abusi di cpu), acquistarne uno più grande, scaricare files e db dal vecchio spazio, spostarli sul nuovo e riconfigurare il tutto (io stesso lo ho fatto più volte con il mio blog: partito da tophost, passato a netsons, poi a eticoweb openhost e poi ad un piano personalizzato eticoweb).

Ma, riflettendoci, che senso ha? Perchè stressarsi con questo lavoro quando con un account Blogger/WordPress ho un sito esattamente uguale a questo in grado di reggere praticamente qualunque carico di lavoro? Stessa cosa dicasi per i server dedicati. Quando il mio dedicatino non regge più ne prendo uno nuovo più potente e ci sposto tutto. Anche qui, c’è un senso? Perchè comprare un piccolo dedicato quando con una VPS (mi riferisco a RackSpace CloudServers, Amazon EC2 e GoGrid) ho lo stesso servizio, scalabilità immediata e semplice, ridondanza ed in più i vantaggi di un ambiente “burstable”?

Altro problema ricorrente è l’uptime. Leggevo tempo fa “The Big Switch” di Nicholas Carr. Fa un interessante paragone tra gli anni 70, in cui, se cadeva il server aziendale, si chiamava IBM che lo ritirava su in 3/4 giorni, gli anni 80/90 in cui c’è stata la corsa all’offerta del servizio di supporto onsite più efficiente (il down di un server con un gestionale iniziava ad essere un serio problema, avendo completamente sostituito gli archivi cartacei), e oggi, dove si è capito che l’erogazione del servizio semplicemente NON PUO’ più interrompersi (basti pensare allo scompiglio creato dal down di 12 minuti di GMail di qualche mese fa).

Il servizio, è ovviamente erogato da servers. L’ultimo passaggio è quindi immediato: ogni singolo componente dell’infrastruttura, per quanto ridondato possa essere, può fermarsi. Servono quindi strutture che sappiano utilizzare gruppi (pool) di macchine, e che possano gestire il down di uno o più componenti in modo totalmente trasparente all’utente finale, l’utlizzatore del servizio. La struttura deve essere in grado di gestire la caduta di un singolo server, rack, sala o datacenter, come se fosse una cosa di routine che può accadere tutti i giorni.

E qui abbiamo una ulteriore divisione: per grandi servizi come Google, per cui adattare gli strumenti esistenti sarebbe complicato se non impossibile, sono state create strutture proprietarie, perfettamente ottimizzate, volte a svolgere precisi compiti. In altre parole, “su misura”.

C’è poi chi sta lavorando per “accogliere” gli utenti che vengono dagli ambienti che ho definito mono-server, che sta quindi lavorando per creare piattaforme che pur essendo basate su quello che compone i sistemi LAMP (banalmente, Linux, Apache, MySQL e PHP), godano di caratteristiche che a questi mancavano, come, ancora una volta, scalabilità e ridondanza (io resto comunque abbastanza convinto che tuttora ci siano limiti sopra i quali non si può andare. non ho infatti trovato uno di questi servizi “cloud hosting” in cui mysql scali a dovere).

Quindi, concludendo, mi chiedo: per quanti anni ancora vedremo siti ospitati su server singoli senza alcun tipo di fail-over? Questi vecchi ambienti, alla luce di queste considerazioni, sono davvero così terribili? Strutture come RackSpace CloudSites e Seeweb Cloud Hosting, prenderanno piede così velocemente?

Cloud storage: Dropbox

Cloud storage: Dropbox

logo

Lo uso da tempo, su consiglio di un amico, e ne sono davvero molto soddisfatto.

Oltre che incredibilmente veloce negli upload/download, è molto funzionale. A differenza dei suoi simili, che richiedono l’installazione di un piccolo programma sul pc e l’impostazione delle directory da tenere sincronizzate, Dropbox si installa in 5 minuti. Durante il processo di installazione crea una cartella che terrà sempre sincronizzata con i server centrali e quindi con gli altri computer associati all’account.

E’ poi possibile inserire i files caricati in una directory pubblica; Questa funziona è utile per esempio quando c’è necessità di far scaricare ad altri un file in modo semplice e veloce.

Per finire, le foto caricate nell’apposita cartella, vengono automaticamente divise in album e rese disponibili al pubblico.

E’ assolutamente da provare. Registrandovi con il link fornito da me (che contiene il mio codice di affiliazione), avrete fin da subito 250 MB di spazio extra (per un totale di 2 GB e 250 MB).

Giorgio

ByetHost: 3 anni dopo

ByetHost: 3 anni dopo

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Ne avevo parlato 3 anni fa, descrivendolo come un grande miracolo, una tremenda e fortissima realtà commerciale. Ad oggi sono passati 3 anni e hanno 500 000 siti a confermare quello che avevo “previsto”.

Chiarisco un attimo lo scenario per chi non lo conoscesse:

Ad inizio 2005 un gruppo di persone non meglio definito inizia lo sviluppo di un pannello di controllo open source specifico per servizi di free-hosting, oserei dire il primo facciotuttoio della storia. Server Debian appena installato, due comandi (“wget http://lorosito/install.sh” e “sh install.sh”) e ti ritrovavi con un’interfaccia web dalla quale creavi il sito web con layout predefiniti, che conteneva già tutto (sistema di registrazione utenti, vhost e il resto). In due ore era possibile lanciare un servizio di hosting fatto e finito.

Iniziano quindi a crearsi decine e decine di siti, che usando questo pannello offrono free hosting. Tutte piccole realtà ovviamente, servizi lanciati da ragazzini su VPS o piccoli dedicati e gestiti grazie al tool di amministrazione in php.

A metà 2006, termina lo sviluppo di questo pannello. Niente più aggiornamenti, niente più supporto. Ovviamente a fine anno, senza saper nemmeno come aggiornare php per tappare le gravissime falle di sicurezza, tutte le piccole realtà sopradescritte vanno in panico totale.

All’inizio dell’anno seguente, uno di questi servizi, byethost.com, si sveglia, crea un nuovo pannello compatibile, amplia la struttura, e nell’arco di un mese acquista tutti i suoi simili, facendoli di fatto sparire. Con una sola grande mossa commerciale acquisiscono e disintegrano ogni concorrente.

Fine del racconto.

A tre anni di distanza ovviamente i dubbi restano: Hanno creato loro quel sistema per far avviare dei servizi ad altri e poi comprarli a poco prezzo? Era una cosa già studiata fin dall’inizio? Insomma sono ragazzi che hanno avuto una grande idea e hanno fatto il botto o sono dei mostri che vogliono conquistare il mondo?

Al di là di tutto quello che c’è dietro, che comunque sia è storia e basta, si tratta sicuramente una solidissima realtà. L’infrastruttura è ad un livello tecnico non da poco. Non si tratta di semplici server con tutti i servizi mischiati, è un cluster con diversi pool di servers che svolgono le diverse funzioni, tutto questo basato su una SAN in fibra ottica (non vengono dati in giro molti dettagli).

Che ne pensate?

(ah, ovviamente ci risentiamo tra 3 anni)

Giorgio