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DAZN, Serie A e streaming: dove stanno i problemi?

DAZN, Serie A e streaming: dove stanno i problemi?

Immagino sentiate la mancanza dei miei articoli polemici, quindi eccone uno. Parliamo di DAZN, della Serie A, di streaming e dei problemi che qualcuno ha avuto nella visione delle prime partite di questa stagione: mi sono capitati sottomano in questi giorni articoli di “esperti” con idee molto poco chiare che parlano di banda larga, di codec, di reti, di capacità dei server e altro.

Non ci siamo.

Siccome esattamente come nel caso dei vaccini la disinformazione fa danni e porta in direzioni sbagliate, vi regalo le mie competenze (la progettazione di infrastrutture per eventi straordinari come questo costituisce gran parte del mio lavoro) per fare chiarezza: se siete giornalisti e questo articolo non vi basta, sentitevi liberi di contattarmi.

Fatemi iniziare con un pò di sano debunking e quindi dall’esplorare quali non sono le cause della bassa risoluzione / buffering / interruzioni:

  • Non è la banda larga: il concetto di “banda larga” è riferito all’ultimo miglio, in sostanza alla connessione tra voi e la centrale Telecom più vicina. Per tutta una serie di ragioni che non vi sto a spiegare (questioni di fisica dei mezzi trasmissivi), questo è stato storicamente il collo di bottiglia delle reti. In alcune zone d’Italia si naviga a 1 gigabit al secondo, in altre a 250 megabit, in altre ancora a 30mbps e in alcune addirittura a soli 7mbps: quest’ultima è più che sufficiente a ricevere un flusso video con risoluzione decente, anche se la velocità effettiva dovesse essere inferiore. Non fraintendetemi, la lenta diffusione della banda larga può essere una serissima questione di sviluppo economico, ma in questo caso, semplicemente, non è il nostro problema.
  • Non sono i codec: alcuni codec possono essere più pesanti di altri sulla CPU, ma a meno che non stiate usando un PC di 25 anni fa più o meno qualunque processore è in grado di mostrare uno streaming in qualità accettabile senza interruzioni. A meno che sul vostro computer non girino anche un miner Bitcoin e 327 virus con cui condividete la capacità di calcolo, ovviamente.
  • Non è nemmeno la capacità dei server: la tecnologia si è evoluta e le realtà al passo con i tempi (e DAZN lo è) utilizzano infrastrutture elastiche, pronte a scalare per servire più richieste in pochi minuti, nel caso in cui si renda necessario. Di solito lavoriamo perchè le previsioni di carico siano adeguate, ma anche nel caso in cui si dimostrassero errate, correggere il dimensionamento sarebbe cosa da poco. Tutto questo, in una infrastruttura correttamente progettata, ad un costo molto basso.
  • Non è colpa della collocazione geografica delle CDN: questa è una teoria interessante ma totalmente campata in aria, e ci spenderò qualche minuto. Le CDN sono reti ad altissima capacità il cui compito è consegnare contenuti (video, immagini) agli utenti finali (voi). In rete si trova un comunicato stampa di DAZN in cui annunciano di aver scelto LimeLight, che in Italia ha infrastruttura a Milano e Palermo, come partner CDN: secondo gli scienziati, era ovvio che una CDN con presenza solo a Milano e Palermo non fosse all’altezza. Ma questo è sbagliato, per vari motivi:
    • L’analogia “immaginate come sarebbe difficile fare la spesa se gli unici due centri commerciali in Italia fossero a Milano e Palermo: da Roma sono 600km, quasi 12 ore di macchina tra andata e ritorno” potrebbe sembrare sensata, ma è pretestuosa: per la spesa settimanale si impiega un’ora normalmente, il viaggio Roma-Milano aumenta questo tempo di 12 volte ed equivale alla perdita di una giornata intera. Per i dati che viaggiano su fibre ottiche invece è il contrario: le “operazioni intermedie” indipendenti dalla distanza impiegano comunque qualche millisecondo, ed il dover percorrere una tratta di 600km al posto di una lunga solo 6 cambia di pochissimo il ritardo totale.
    • Se invece che usare Google in cerca di comunicati stampa i sopracitati scienziati avessero analizzato lo streaming vero, si sarebbero accorti che DAZN usa almeno tre CDN diverse, alcune con presenza più capillare in Italia. La storia di Palermo e Milano quindi non regge, o comunque non può essere banalizzata su un fattore di semplice distanza.
    • Internet non soffre di barriere nazionali (non ancora perlomeno), e le CDN hanno altre presenze vicino all’Italia come Vienna, Zurigo, Marsiglia, Monaco etc: è realistico pensare che anche queste location contribuiscano all’esperienza del pubblico italiano.

Arrivati a questo punto vi starete chiedendo dove stia il problema, ed eccoci alla risposta: non lo so, ma ho un paio di “maggiori indiziati”, che vi espongo.

Il primo è la particolare conformazione della rete italiana che per questioni geografiche e soprattutto storiche consiste di fatto in una stella con centro a Milano. Le interconnessioni tra diversi provider (tra le quali, ad esempio, la connessione tra chi vi vende la linea internet di casa e la CDN di DAZN) avvengono quasi esclusivamente lì, rendendo di fatto inutile la localizzazione geografica dei punti di distribuzione contenuti (per farla molto semplice, anche se la CDN di riferimento installasse un nodo nella vostra stessa città, con buone possibilità si dovrebbe comunque passare da Milano, o quantomeno da Roma, per raggiungerla).

Questo ci porta al secondo fattore in gioco: il trasporto dati nazionale di lunga distanza (il collegamento Napoli-Roma-Milano, per intenderci) ha costi relativamente alti se comparato a tratte molto più estese (Londra-New York), dettati dalla complessità infrastrutturale e dalla scarsità di competizione e di investimenti. Il traffico in rete è esploso negli ultimi anni, e certe tratte di interesse internazionale si sono sviluppate in modo molto veloce e spinto – altre, di interesse meramente nazionale, sono rimaste indietro e si stanno muovendo più lentamente. In questa condizione è facile che per motivi tecnico-economici si creino situazioni di congestione temporanea durante eventi eccezionali, per il semplice motivo che evitarla sarebbe troppo costoso.

Il terzo fattore è relativo al criterio di dimensionamento dei trasporti digitali, che spesso si deve per forza basare su dei dati di utilizzo medio. Torniamo all’analogia con i trasporti automobilistici: nelle due settimane centrali di Agosto sarebbe indubbiamente comodo se tutte le autostrade a tre corsie ne avessero invece cinque. Perchè allora non ne hanno cinque? Per il semplice motivo che quelle corsie sarebbero da mantenere tutto l’anno pur essendo necessarie per sole due settimane: i costi, in altre parole, avrebbero la prevalenza sui benefici. Lo stesso accade su certe tratte di trasporto difficili da ampliare e mantenere (molte altre sono invece dimensionate in base al picco di traffico atteso, quindi sulla base del caso peggiore).

Non si può infine non citare il nostro buon vecchio PEBKAC – acronimo che in informatica si usa per indicare il problema che sta tra la sedia e la tastiera (in questo caso tra la poltrona e il telecomando), cioè l’utente. In molti si sono avvicinati ai servizi di streaming per la prima volta in questa occasione, e non hanno mai verificato prima che la loro rete di casa (banalmente, il Wi-Fi) fosse pronto a gestire un simile traffico. Sono pronto a scommettere che gran parte dei problemi stia qui.

Tutto chiaro ora? Se ci sono domande chiedete pure.

My second year at AWS: down the rabbit hole

My second year at AWS: down the rabbit hole

We all know, time flies. I posted about my first year at Amazon Web Services just 12 months ago and now I’m already celebrating my second AWS-birthday.

It’s been a year of both personal and professional growth: it began in December when I became head of a project that has been helping some of our customers running their platforms at massive scale, all the way up to my promotion to Senior TAM a few months back. Needless to say, customers I’m looking after have made giant leaps too, as part of transformation processes that start from the infrastructure and can reach up to their corporate culture.

My post about “Year One” was organised by subsequent evolutional phases but this won’t really make sense from the second year onward: I’ve been involved in a bunch of projects, every one of them with its own life. Why not trying then to recap the last 12 months by picking the project (more details on it here, with a cameo appearance) that took most of my time and checking our slogan “Work Hard, Have Fun, Make History” has been truly met in it? Let’s start here.

Work Hard

This is how it begins. It might seem obvious, as no one ever will pay us to do something other than working hard, but it’s not. Working hard in AWS means taking responsibilities, being effective, facing challenges and turn every opportunity into an huge success.

“Hard” as in pushing our brains to 100%, not necessarily as in working 16 hours a day. True, we carry pagers, and might end up having late evening calls with the teams in Seattle or doing late night debugging sessions from our hotel room, but this only happens in exceptional situations.

I personally find this extremely rewarding: when you focus on a project with all your energy, then the sense of achievement when it’s done is super strong.

…check ✓

Have Fun

“Having Fun” is something we keep reading in job offers: it’s a “new economy” concept, meant as enjoying what you do and finding personal motivation in addition to the obvious business one.

I find this kind of comes by itself: if you work effectively on something and achieve results, then customers will trust you, the relationship will become more friendly and relaxed and you will end up having a lot of fun with them, even in the day to day.

Check ✓

Make History

Last one, and possibly just another consequence. Is there any other way a successful project can finish?

Sometimes we might not realise how big a given change can be. We might focus on some virtual machines becoming EC2 instances and some hard drives becoming S3 partitions, but there’s much more behind the curtains: you will see a quickly changing and moving world there.

Never underestimate the importance of small actions and small steps as they can quickly prove to be giant leaps.

(in the picture below you can see me helping with the final step of a cloud migration: loading a massive storage array on a truck after datacenter decommissioning and shutdown) …check ✓

So What?

Two years in, and for me it still feels like it’s Day One. Learning something new every day, consciously jumping in rabbit holes every other day just to re-emerge stronger and wiser later on. Being surrounded by the smartest people on earth makes you feel extremely small sometimes, but also guarantees you endless opportunities for growth.

This is what I’ll keep doing.

(want to join the band? just ping me!)

T-Mobile e il mondo TLC che cambia. Prima del previsto.

T-Mobile e il mondo TLC che cambia. Prima del previsto.

“Le persone hanno paura di utilizzare il cellulare quando sono all’estero” – John Legere, CEO di T-Mobile US, ha aperto così l’evento in cui ha annunciato a sorpresa la quasi totale abolizione delle tariffe di roaming per i propri clienti. Qui il comunicato stampa: un fulmine a ciel sereno, un annuncio che non ci saremmo mai aspettati, non certo in tempi così ristretti.

Gli utenti T-Mobile potranno da fine Ottobre inviare messaggi e navigare senza limiti da più di 100 paesi nel mondo senza costi aggiuntivi. Le chiamate effettuate in roaming avranno un costo di 20 centesimi al minuto (un prezzo praticamente nullo rispetto a quello attuale). Per quanto riguarda invece le chiamate internazionali effettuate dagli USA, acquistando un pacchetto da 10 dollari mensili, sarà possibile parlare illimitatamente con le linee fisse di 70 paesi e a 20 centesimi al minuto con tutti i mobili e i fissi del resto del mondo.

“The world is your network.” – T-Mobile

Legere non ci va giù piano: secondo lui il mercato delle telecomunicazioni americano è “uno schifo”, basato su “un raket” che ha il solo fine di spennare i clienti. Vuole che la sua compagnia sia diversa: T-Mobile è il più piccolo dei 4 principali operatori nazionali, ma è quello in più rapida crescita (hanno appena annunciato il completamento della copertura 4G/LTE di tutto il territorio USA).

Erano stati chiari, con la loro campagna “Uncarrier“: “We’re still a wireless carrier. We’re just not going to act like one anymore.”. T-Mobile ha iniziato qualche mese fa il cammino su una strada di innovazione e trasparenza cancellando dai suoi listini il modello di vendita basato su “contratti” (che è lo standard in USA, si sceglie un telefono e si è obbligati a pagare una determinata tariffa per 24 mesi, con altissimi costi di recesso anticipato) e sta continuando in velocità, in aperto contrasto con i suoi concorrenti AT&T e Verizon.

Nessun contratto, nessuna tariffa di roaming, SMS e chiamate illimitate, no alle tariffe nascoste. Semplice. Semplicissimo. Come ogni cosa dovrebbe essere.

Vodafone si stava già muovendo su questa linea, ma preannunciava il cambiamento per il 2015. Adesso dovrà accelerare i tempi. E gli altri? Tutti gli altri? Subiranno il durissimo colpo? Saranno in grado di stare al passo?

Probabilmente è il caso di iniziare a correre. Perchè l’impressione che si ha sempre di più, è quella di un mondo delle telecomunicazioni in continuo cambiamento ed evoluzione, ma con operatori (che dovrebbero esserne i principali player) incapaci di stare al passo coi tempi e con le necessità dei clienti.

Noverca+ sta per cambiare le cose (forse)

Noverca+ sta per cambiare le cose (forse)

Oggi vi parlo di Noverca: è stato il primo Full MVNO italiano, ed, alla data in cui scrivo, ancora di fatto l’unico (anche se due nuovi player stanno per presentarsi sul mercato). Un Full MVNO, lo ricordo, è un operatore virtuale che ha necessità di appoggiarsi a terzi solo per quanto riguarda la rete di accesso. Lo seguo da tempo perchè la sua offerta mi è sembrata da sempre decisamente innovativa (inizialmente pubblicizzavano una tecnologia chiamata “Hybrid VoIP”, tramite la quale offrivano chiamate internazionali, da cellulare, ai prezzi più bassi nel mercato italiano).

Poco fa sono inciampato in questa nuova applicazione, Noverca+. La descrizione ha attirato la mia attenzione, ma poi ho notato che il contatore dei download era ancora fermo a zero. E la data di pubblicazione era quella di… oggi!

2013-08-08 21.31.34

Qualche minuto passato a cercare (senza successo) informazioni a riguardo su Google e mi sono convinto di aver scoperto in anticipo (quanto anticipo, mi chiedo) un nuovo servizio: l’applicazione per Android, la trovate qui, mentre la pagina che descrive il servizio è qui.

Di cosa si tratta, in breve? Stando alla descrizione, si tratta di un’applicazione sullo stampo delle meglio conosciute Skype/Viber, che offre chiamate gratuite via internet tra gli utenti che l’hanno installata. Con una novità importante: a NovercaPlus è possibile associare un numero di telefono mobile (un numero Noverca comprato per l’occasione o un numero già in vostro possesso che porterete da altro operatore), per ricevere chiamate anche da chi non ha l’applicazione installata. Al momento è possibile utilizzare solo numeri (nativi o portati) associati a SIM fisiche Noverca, ma sembra che per il futuro stiano pensando ad un concetto di “SIM virtuale”.

Le chiamate in uscita vengono tariffate secondo il piano attivo sulla SIM Noverca a cui è associato il numero, ma viene offerta anche un’interessante opzione specifica, per telefonare via WiFi dall’Italia verso Italia, USA e Cina.

Per i più tecnici, niente di nuovo. Tutto ciò noi del settore sapevamo già farlo (sia con numeri di rete fissa che con, ehm, numeri di rete mobile, anche se sarebbe meglio non dirlo in giro), con le necessarie competenze. Per le aziende, Vodafone vende da qualche tempo un servizio simile, Vodafone Rete Unica, ma si tratta di un’offerta parecchio articolata e complessa. Proprio qui sta la differenza di NovercaPlus: questa applicazione dovrebbe rendere tutto ciò alla portata di chiunque.

Quali sarebbero i vantaggi di un simile servizio? Provo ad elencarne qualcuno:

  • Doppio numero (in futuro, perchè solo doppio?) di cellulare su un apparecchio non dual SIM (uno sarà il numero nativo della SIM inserita nel cellulare e l’altro sarà quello dell’applicazione)
  • Possibilità di ricevere chiamate all’estero come foste a casa vostra, senza pagare le (spesso pesanti) tariffe di roaming
  • Risoluzione dei noti problemi di copertura: piano seminterrato? Basta una connessione WiFi, e il vostro cellulare torna a suonare

L’applicazione, l’ho provata, per ora ha ben poco di funzionante. Al primo accesso un disclaimer spiega chiaramente che si tratta di un servizio beta che Noverca sta sperimentando e su cui al momento non offre nessuna garanzia. Ma se venissero mantenute le promesse della pagina descrittiva, si tratterebbe davvero di un servizio nuovo e interessante.

Screenshot

C’è qualche punto però che mi lascia perplesso:

  • Al momento non è possibile comprare un numero dedicato: devo utilizzare quello della mia SIM Noverca. Come viene gestito l’instradamento delle telefonate? Come sarà gestita in futuro la coesistenza di una SIM fisica e di una applicazione, entrambe basate sullo stesso numero di telefono? Adesso se effettuo il login con l’applicazione, le telefonate non arrivano nè lì nè sulla SIM fisica.
  • L’applicazione per funzionare richiede una connessione WiFi. E se io volessi usare il piano dati 3G del mio operatore, per avere il doppio numero sullo stesso apparecchio ed essere raggiungibile su quello virtuale in qualunque situazione?
  • Siamo abituati a vedere i servizi IP-based come indipendenti dalla location fisica in cui vengono utilizzati. Noverca+, invece, non funziona così: può essere usata solo dall’Italia. Per l’utilizzo dall’estero si pagano delle opzioni, seppur molto economiche.

Come si evolverà? Che sia il primo passo verso la possibilità di utilizzare numeri di telefonia mobile via SIP?

Ho chiesto all’indirizzo di contatto dettagli sulla fase beta, e vi aggiornerò il prima possibile.

Giorgio

Giornate storiche. Che qualcuno vorrebbe dimenticare.

Giornate storiche. Che qualcuno vorrebbe dimenticare.

“There cannot be mental atrophy in any person who continues to observe, to remember what he observes, and to seek answers for his unceasing hows and whys about things.” – A. Bell

Fermatevi un secondo. Chiudete gli occhi. Mettetevi per un attimo nei panni di Joel Stanley Engel. Corre l’anno 1973, siete a capo dei Bell Laboratories. Immaginate. Nel curriculum vantate parecchi successi, tra i quali la collaborazione alla progettazione dei sistemi di guida della navicella Apollo.

Sono passati quasi cento anni dalla prima telefonata della storia (era il 1876 quando Alexander Graham Bell disse al suo assistente le prime parole attraverso un telefono: “Mr. Watson — Come here — I want to see you.”) e vi state occupando di un colossale progetto: costruire un telefono senza fili, per liberarlo da quel cavo che lo rende così “statico”, così fisso, così poco pratico.

Non esistono ancora nemmeno i cordless, ma voi puntate molto più in alto, volete diventi possibile raggiungere qualunque persona, in ogni angolo di ogni città. Volete dare la possibilità di telefonare da qualunque punto della casa, dalla strada, da ogni luogo pubblico, usando un dispositivo personale: intendete rivoluzionare il concetto di telefonia, volete un numero di telefono che non identifichi più un luogo specifico, ma che si riferisca ad una persona. Una persona, ovunque essa sia.

Sono più di 130 anni che è possibile comunicare a lunga distanza, prima con il telegrafo e poi con il telefono, ma il limite è ancora quello: serve un cavo. I due terminali devono essere “fisicamente” collegati. Non esiste mobilità. Il compito è complesso, le sfide sono tante, troppe. I precedenti tentativi, come il telefono veicolare, non hanno avuto il successo sperato. Manca la tecnologia per costruire un terminale leggero, manca una rete a cui appoggiarsi, ma l’interesse è grande, gli investimenti effettuati sono importanti, e l’attenzione dei media è massima.

3 Aprile, un giorno come un altro. Vi svegliate e andate in ufficio per svolgere le vostre ordinarie mansioni. In un remoto angolino della vostra testa state pensando a quella conferenza che il vostro principale concorrente, Motorola, ha indetto per quello stesso giorno all’Hotel Hilton di New York, per presentare chissà quale nuova scoperta. “Sarà solo un altro piccolo passo in avanti”, pensate.

Poi vi squilla il telefono. Rispondete. Una voce: “Hi, Joel, it’s Marty, Marty Cooper. You remember me.”. Si, si, ve lo ricordate, capite subito chi stia parlando: è quel Marty Cooper che, alle dipendenze di John Mitchell, sta lavorando per Motorola ad un progetto simile a quello a cui dedicate le vostre giornate. La voce, poi, continua: “And I’m calling you from a cell phone, but a real cell phone, a personal, hand-held portable cell phone.”. Il cuore vi va a mille. Non riuscite più a parlare.

(Marty Cooper, nel 2007, con il prototipo DynaTAC originale. credits)

La persona dall’altro lato si ricorderà quel vostro silenzio per tutta la vita.

Non era uno scherzo. In quel 3 Aprile 1973, da una strada di Manhattan, tra gli occhi increduli dei passanti, Marty Cooper ha effettuato la prima telefonata della storia da un terminale mobile. Ha chiamato il suo concorrente, Joel Engel, per fargli sapere che aveva perso la sfida: non era riuscito ad arrivare primo.

La strada era ancora molto lunga e tortuosa. Quella telefonata era partita da un prototipo DynaTAC (Dynamic Adaptive Total Area Coverage): pesava 1200 grammi, era lungo 25 centimetri e la sua batteria gli garantiva un’autonomia, in telefonata, di 20 minuti. Dopo i quali doveva stare sotto carica per 10 ore. Cooper ribadì più volte scherzosamente che l’autonomia non era un problema, perchè quel telefono era così scomodo che nessuno avrebbe potuto tenerlo in mano per più di 20 minuti.

Ci vollero altri 10 anni per perfezionare la tecnologia e superare i vincoli normativi, ma nel 1983 vennero messi in commercio i primi telefoni cellulari. Era iniziata quella corsa che continua ancora oggi. Da quel momento, l’innovazione è stata continua, sempre più veloce.

Il resto della storia, lo conoscete.