Browsed by
Category: Italian

Sysadmin SI NASCE.

Sysadmin SI NASCE.

Esiste un problema. Un problema che nel mio settore si fa ogni giorno più pressante. Si chiama “improvvisazione”. Noi definiamo “improvvisato” quella persona che, dopo aver installato un server seguendo un howto e copiaincollando i comandi senza averli minimamente capiti, si sente, alla pari di ben più skillati sistemisti, pronta a gestire sistemi in produzione. E si lancia a farlo.

devotion_to_duty

I (veri) professionisti si trovano ogni giorno a dover combattere attacchi di vario genere, dallo spam ai DDoS, e nel 99.9% dei casi si scopre che provengono da macchine, appunto, in mano a persone che non hanno praticamente nessuna esperienza nella gestione di sistemi.

Non l’ho raccontato qui per pietà nei confronti degli interessati, ma qualche tempo fa alcuni siti su un server che gestisco, tutti facenti capo alla stessa persona, sono stati defacciati. Dopo una approfondita analisi dei log, ho concluso che chi è entrato via FTP aveva la password (probabilmente recuperata con un keylogger). Avendo trovato IP italiani nei log del deface, ho contattato i proprietari di due di quelle macchine, diventate sicuramente parte di una botnet ed usate da terzi per commettere illeciti. Il primo, dopo una risposta iniziale particolarmente sgarbata, confermando di non essersi accorto del fatto che il suo server veniva usato da terze persone per defacciare siti, ha preso le misure necessarie. Il secondo, no. Mi ha minacciato, dicendo che mi avrebbe denunciato per diffamazione, perchè quello che stavo dicendo era sicuramente inventato, e che se il provider, al cui abuse avevo segnalato la questione, gli avesse bloccato il server, mi avrebbe chiesto i danni. Perchè io mi stavo inventando tutto.

Inutile dirlo, dopo avergli spiegato come connettersi via SSH e come lanciare il comando “last”, sono venuti fuori login (root) da ogni parte del mondo sulla sua macchina. Login di cui lui, ovviamente, non sapeva niente.

Non sapeva bene cosa fosse SSH, ma il server lo aveva installato. I servizi erano up, il sito web era correttamente funzionante. Perchè, questo? Perchè siamo nel 2013. Perchè esistono pannelli di controllo e howto. Pannelli di controllo come Plesk e cPanel, che svolgono egregiamente tutte le operazioni di configurazione iniziale e di gestione ordinaria di una macchina. Questo è il punto. Il sistemista improvvisato, non fa niente che già non si possa fare con dei semplici click in un pannello di controllo. Non fa niente che non si possa fare cercando una guida su internet e copiaincollando i comandi indicati.

Considero infatti gli howto alla pari dei pannelli di controllo “tuttofare”. Guide passo a passo, che portano anche la persona più incapace a configurare un determinato servizio. I sistemisti improvvisati esistono perchè esistono le guide step by step, e queste guide esistono perchè vendono, perchè fanno views, e le fanno perchè esistono gli improvvisati. Il nocciolo della questione è che la guida spiega come installare qualcosa e come effettuare configurazioni basilari. Ma non spiega come gestire. Non spiega come affrontare i casi eccezionali. Perchè questo, forse, non può essere insegnato.

Chi usa una guida pronta, delega a terzi (cioè a chi quella guida l’ha scritta) tutta la fase preliminare di ricerca, di documentazione e di assemblaggio di diverse fonti, nonchè il testing. Si tratta invece di una componente fondamentale del nostro lavoro. Perchè è così che impariamo a muoverci senza usare guide, è questo il modo in cui impariamo ad affrontare situazioni non ordinarie. È così, e solo così, che impariamo a camminare (anzi, a correre) nel buio.

Partiamo dal presupposto che tutto quello che può essere spiegato in termini semplici ed in modo sequenziale a degli incapaci, può anche essere eseguito da una macchina. Anni e anni di howto su come installare un ambiente LAMP. Poi arriva cPanel. Si inventa EasyApache. E da quel momento con un comando si può fare in 3 secondi tutto quello che con la guida si faceva in 3 ore. A copiare righe di codice, sono capaci tutti. Le macchine sono bravissime ad eseguire comandi in sequenza prestabilita. Sono le migliori: le abbiamo inventate inventate noi, e le abbiamo inventate per fare proprio questo.

Se ne deduce che una persona che gestisca macchine in questo modo, non ha senso di esistere. Se l’amministrazione di un sistema consistesse solo in queste semplici e sequenziali operazioni, le macchine stesse saprebbero autogestirsi. Anzi, lo fanno già: ci sono strutture che svolgono il 90% delle operazioni di routine senza supervisione umana.

Ma gestire server è molto, molto altro. Le situazioni ordinarie durano ben poco, e ci si trova spessissimo a dover gestire casistiche eccezionali, a dover svolgere operazioni impossibili da eseguire attraverso un pannello di controllo. A dover svolgere operazioni per le quali non si trova da nessuna parte una guida pronta all’uso, perchè magari prima di noi nessuno si è trovato incastrato nella situazione in cui noi invece ci troviamo. Interventi per cui serve una mente umana, un cervello. Un cervello che funzioni, non un cervello che sappia solo usare i comandi cut&paste.

Si, è vero, molte operazioni sono state automatizzate negli ultimi anni, prima le svolgeva un uomo e adesso le svolge una macchina. Ma, state attenti: sono stati automatizzati quei processi che già il sistemista svolgeva in modo “automatico”, comportandosi come una macchina. Solo quelli: tutto il resto non potrà mai essere automatizzato. Forse si, un giorno succederà. Ma non a breve/medio termine.

Alcuni sostengono che stia proprio in questo l’abilità innata dei sysadmin. Saper affrontare situazioni, saper gestire casistiche eccezionali, saper gestire (e risolvere) i problemi. Saper cercare soluzioni, conoscere e saper usare gli strumenti a disposizione. Avere la tendenza che ti porta ogni giorno, senza nessuna spinta, a trovare nuovi strumenti e a scoprire nuove cose. Le capacità tecniche si possono acquisire, il resto no: si imparano i comandi da utilizzare, ma non si impara il modo in cui affrontare le situazioni critiche. Ed è questo che conta, è questo a fare la differenza.

Spesso, infatti, quando consiglio ad un improvvisato di cambiare professione, non lo faccio perchè abbia dimostrato di non conoscere semplici comandi o di non sapere il significato di alcuni termini tecnici, ma perchè noto la mancanza di abilità e tendenze ben più importanti. A volte vengo ricoperto di domande, domande la cui risposta è contenuta nell’anteprima del primo risultato di ricerca su Google. Questo, a mio parere, è un chiaro segno. Se l’istinto ti porta a chiedere a qualcuno che già sa piuttosto che a cercare da solo una risposta, sarai un perfetto studente, un perfetto schiavo del metodo educativo moderno. Ma, tranquillo, non farai mai il sistemista. Non giriamoci intorno. È così.

C’è chi nasce particolarmente portato al gioco di squadra e fisicamente agile, e diventa calciatore. Ci sono ragazze che nascono particolarmente belle, fini e portate alla cura della persona, e diventano modelle. Non si capisce perchè si sia invece diffusa la convinzione che chiunque possa diventare sistemista. Non si capisce come mai chiunque voglia diventarlo, e come mai sia così difficile difendere la professionalità in un mestiere che sta diventando sempre più critico e importante.

Non vorreste mai volare su un aereo pilotato da una persona con in mano una guida step by step. Non vi fareste mai trapiantare il cuore da qualcuno che, forte di 20 anni di esperienza in macelleria e con l’aiuto di un video su Youtube, vi garantisce di saperlo fare. Perchè, per risparmiare qualche euro, date in mano i vostri siti, i vostri gestionali e i vostri strumenti di comunicazione a persone che non fanno niente di più di quanto già le macchine stesse non facciano?

E tu. Si, tu, sistemista improvvisato che stai leggendo. Fai un favore a tutti noi: lascia che le tue 40 ore di lavoro settimanali diventino 2 ore di un vero professionista, anche se queste sue due ore costeranno al cliente come le tue 40. Sarà meglio per tutti.

Per oggi ho finito.

Giorgio

#freeandopen: sul futuro di Internet

#freeandopen: sul futuro di Internet

Chiudete gli occhi, per un attimo. Pensate alle persone che hanno inventato quell’oscenità che è la Posta Elettronica Certificata. Pensate a quelle persone convinte che basti impedire la risoluzione DNS di un dominio per “censurare” un sito malevolo. Pensate a queste persone, completamente incompetenti in termini di internet e tecnologia, da noi elette e spedite al governo con il potere di legiferare, in Italia, anche per quanto riguarda la rete.

Mi seguite, vero? Bene. Adesso facciamo insieme un passo avanti. Immaginate che disastro succederebbe se queste persone si riunissero con tutti i loro simili delle altre nazioni del mondo, a porte chiuse, per decidere il futuro di Internet, davanti a un tavolo in cui chi ha progettato e sviluppa la rete, o anche chi la usa, non ha nessun diritto di voto.

Sarebbe un disastro, vero?

Ma è quello che sta per succedere. Dal 3 al 14 Dicembre l’International Telecommunication Union (cos’è?) si riunirà a Dubai nella “World Conference on International Telecommunications” (WCIT-12) allo scopo di ridiscutere i trattati che regolano le telecomunicazioni a livello internazionale (che risalgono ormai all’88).

Si discuterà di varie cose. Si va da questioni come la censura e il controllo delle informazioni presenti sulla rete, spinte da governi che vorrebbero poter controllare Internet come controllano gli altri tipi di media, a questioni “trite e ritrite” degli ultimi anni, portate da alcuni fornitori di accesso alla rete (come Telecom Italia), che vogliono a tutti i costi appropriarsi di una fetta dei guadagni dei cosidetti “Over The Top” (Google, Facebook, Youtube, etc), a costo di stravolgere i principi e meccanismi sui quali la rete si è basata negli ultimi 30 anni. Si parlerà quindi anche di Net Neutrality, di abbandono dei principi best-effort nella rete, di free-riding e concetti simili.

Il problema, fondamentalmente, è uno: l’ITU. La rete è un mondo collaborativo, dove ognuno “mette del suo”, e un l’imposizione di un controllo / regolamentazione dall’alto può solo rovinarlo. Molti credono quindi che l’ITU non sia il posto adatto per fare simili discussioni. Organi simili all’ITU ma più aperti, in cui tutti hanno diritto di partecipazione, esistono. Un esempio è l’Internet Governance Forum. Alle assemblee dell’IGF chiunque può partecipare e votare, e la trasparenza è assoluta.

Rischiamo di ritrovarci da un giorno all’altro con una rete più controllata, molto meno libera, nonchè di qualità inferiore, sia in termini di contenuti che in termini prestazionali. Non si tratta quindi di materia tecnica, ma di questioni che toccano chiunque utilizzi internet. Tutti noi. Dobbiamo difendere i principi di apertura, trasparenza e libertà che la Internet Society professa da 20 anni.

Come possiamo agire, quindi? Google non si è fermata a guardare. Ha avviato un movimento, denominato “Take Action“, allo scopo di aiutare le persone a capire di cosa si sta parlando e ad esprimersi (attraverso una specie di raccolta di firme) contro questo incontro a porte chiuse, chiedendo maggiore trasparenza. A capo di questa iniziativa c’è lo stesso Vinton Cerf, uno dei padri di internet, oggi “Chief Internet Evangelist” per Google stessa.

Hashtag ufficiale, #freeandopen (su Twitter e Google+).

Firmate, quindi, firmate e diffondete. Perchè, alla fine, la rete siamo noi, e siamo noi i primi a rimetterci.

Ehi, c’è il World IPv6 Launch!

Ehi, c’è il World IPv6 Launch!

Me ne stavo dimenticando: domani, 6 Giugno 2012 è il World IPv6 Launch.

Un anno fa, l’8 Giugno 2011, ci son state le “prove generali” dell’implementazione globale di IPv6 (RFC 2460). Quel giorno più di 1000 grandi siti web (Google, Facebook, Yahoo, Akamai, Limelight e altri) hanno attivato il supporto IPv6 sui servizi principali per 24 ore, nell’ambito di un grande test coordinato su scala mondiale, allo scopo di far saltar fuori bug e/o errori a livello di implementazione e dare a tutti i players il tempo di correggerli e di adeguarsi.

Il test è stato un grande successo, ed è stata fissata, per domani appunto, la data dell’adozione definitiva di questa tecnologia (ai tecnici fa un pò ridere il chiamare IPv6 “tecnologia”, perchè esiste da 14 anni). “The Future is Forever” è il motto dell’iniziativa: da domani, il futuro è per sempre. Centinaia di siti, ISP e produttori di hardware adotteranno definitivamente IPv6. La lista completa dei partecipanti è qui.

D’ora in poi sarà supportato, ovunque: sui più grandi siti, sui più grandi CDN, sui router casalinghi, dagli ISP (in tunnel, quantomeno). Il mercato farà il resto del lavoro: finalmente, chi non si è svegliato e non si è aggiornato, inizierà a rimanere indietro e a perder colpi (e soldi).

Da domani, magicamente, un server dedicato con supporto IPv6 avrà più valore di uno che non ce l’ha. Un hosting con supporto IPv6, avrà più valore di un prodotto simile, in tutto e per tutto, ma senza IPv6. Una ADSL con supporto IPv6 nativo probabilmente avrà più valore di una concorrente forse un pochino più veloce, ma senza IPv6. Spendereste poi 150 € per comprare un nuovo router ADSL IPv4-only sapendo di doverlo buttare via tra un anno?

IPv6 diventerà un must, ovunque. Chi offre IPv6 corre, gli altri partono già doppiati. Bisogna muoversi, fare in fretta, perchè il rischio è quello di trovarsi con non una ma due internet prima di fine anno. Due reti separate, una v4 e una v6, non completamente connesse tra loro. Non è un bello scenario, per niente.

Non vorrei ritrovarmi a dover spedire pacchetti IP usando i piccioni (RFC 1149, che ci crediate o meno).

Per verificare lo stato del supporto IPv6 del vostro dispositivo / connessione, c’è un simpatico e utile tool qui. Se state cercando un Tunnel Broker decente e semplice da usare, consiglio Gogo6. Se invece avete un sito web con supporto IPv6, potete registrarlo al Launch Day qui.

Due curiosità: lo sapevate che chi ha progettato IPv4 (attuale RFC 791, Settembre 1981) negli anni ’70 si era reso perfettamente conto dei problemi legati allo scarso numero di indirizzi disponibili? Il problema è stato ignorato, perchè si trattava di un test e non si pensava ad una diffusione su scala mondiale in breve tempo. Il PIL mondiale di quegli anni non sarebbe bastato a comprare (ehm, costruire/creare) i 2^32 dispositivi che avrebbero potuto esaurire il numero di indirizzi disponibili.

Questo “casino” è “colpa” di chi ha sfruttato e diffuso una tecnologia che i suoi stessi creatori non ritenevano pronta ad uno sfruttamento e diffusione su larga scala, non si tratta di errori di progettazione o solamente di naturale crescita, come molti credono.

E la seconda curiosità: solo il 70% dei siti registrati al World IPv6 Launch sono globalmente raggiungibili via IPv6. Carina come cosa. Io, ovviamente, sono pronto da un pezzo (ma mi ero dimenticato di registrare questo blog).

Google ha pubblicato delle pagine informative, che puntano a spiegare in modo semplice e chiaro. Interessante il video in cui uno dei “fathers of the Internet”, Vint Cerf, spiega il problema dell’esaurimento di indirizzi, con l’aiuto di  immediata grafica. Da diffondere.

Correte, il conto alla rovescia è iniziato (e potete seguirlo anche su Twitter)!

Ps: Si, domani sarà anche un giorno importante, ma volete mettere con il mio compleanno, il 12 Giugno? Chi prepara il sito ed i badge?

Giorgio

RFC Ignorate: la fine del mondo inizia con Fastweb

RFC Ignorate: la fine del mondo inizia con Fastweb

Internet si basa su standard aperti, che vengono definiti attraverso discussioni “pubbliche” tra tecnici. Il meccanismo è semplice: per prima cosa, un gruppo di persone studia, disegna uno “standard”: decide che qualcosa debba essere fatto in un certo modo perchè pensa quella sia la soluzione migliore.

La seconda fase consiste nel pubblicare una RFC, Request for Comments, in modo che gli altri interessati possano leggerla e come il fantasioso nome suggerisce, commentarla. La proposta viene modificata per coprire le necessità di tutti e correggere eventuali errori e poi diventa “standard de facto”. Standard non imposti, che tutti rispettano perchè altrimenti sarebbe il caos più totale. E’ così che si va avanti da 30 anni, senza che mai il meccanismo abbia mostrato debolezze. E’ un pò lo stesso funzionamento dei semafori, niente impedisce a me di decidere che io passo quando è rosso e mi fermo quando è verde, ma non posso farlo perchè so che se anche uno solo si comportasse così tutto il sistema anrebbbe in panico.

Una importante Request for Comments, la RFC 1918, datata Febbraio ’96, ha stabilito che le classi di IP utilizzabili liberamente (senza richiederne l’assegnazione da parte dell’autorità) nelle reti private fossero:

192.168.0.0/16
172.16.0.0/12
10.0.0.0/8

Nell’Aprile 2012 a queste è stata aggiunta la classe 100.64.0.0/10, per i “Carrier Grade NAT” (RFC 6598).

Diverse entità, probabilmente allergiche agli standard, si sono appropriate di classi di IP senza averne titolo. A memoria, ricordo Fastweb, che usava (usa?) le classi 1.0.0.0/8, 2.0.0.0/8, 5.0.0.0/8 (and counting) per l’indirizzamento interno, H3G che ad oggi usa la 1.0.0.0/8, Hamachi e OpenVPN (nella versione a pagamento) che assegnano IP interni ai client dalla classe 5.0.0.0/8, Remobo, software simile ai precedenti che si è appropriato della classe 7.0.0.0/8 e così via.

L’ICANN, sapendo che queste classi erano di fatto utilizzate, pur non avendo intenzione di regolarizzarle (erano e sono utilizzate in modo assurdo, senza motivazione tecnica, sarebbe stato solo un enorme spreco di risorse) ha ritardato fino all’ultimo momento la loro assegnazione. Adesso però gli IP stanno finendo, e l’autorità per l’assegnazione è costretta ad utilizzarli.

Se un determinato ISP usa una classe in modo irregolare e questa viene assegnata, si ritroverà con un conflitto nel routing della sua rete interna: dovrebbe far “uscire” i pacchetti dalla sua rete per raggiungere il reale proprietario di quegli IP ma se lo facesse renderebbe irraggiungibili i suoi host interni che utilizzano (in modo, ci tengo a ricordarlo, illecito) tali indirizzi IP, creando disservizi. La questione è spiegata (anche) qui, in inglese.

A questo si aggiunge il problema del “Bogon Filtering“. Il bogon filtering è un semplice quanto effettivo metodo per filtrare pacchetti spoofed (attacchi, in altre parole): questa tecnica consiste nel filtrare direttamente alla frontiera della rete i pacchetti provenienti da IP non pubblici o da classi di IP non assegnate. Il motivo è chiaro: se gli IP che inviano quei pacchetti non sono stati assegnati a nessuno, la sorgente indicata non è quella reale e quindi si tratta di pacchetti “maligni” o di errori di configurazione. La logica conseguenza è che se una classe viene assegnata e l’ISP non aggiorna i suoi filtri continuerà a bloccarla credendola inutilizzata, rendendo ai suoi utenti impossibile raggiungere gli host remoti appartenenti a quella classe.

Alcuni ISP usano o hanno usato inoltre le classi non allocate per delle prove tecniche, annunciandole nelle tabelle di routing mondiali. Qualche annuncio “residuo”, al suo sovrapporsi con quelli nuovi e “leciti”, potrebbe quindi creare ulteriori conflitti nel routing delle nuove classi.

L’autorità per la registrazione si impegna a segnalare con adeguato anticipo le classi che stanno per essere assegnate, ma non tutti sembrano leggere queste pagine, come mostra questo grafico:

Si nota infatti che quasi il 10% degli AS mondiali non è in grado di raggiungere le classi indicate. Un grandissimo problema.

Temevo che qualcosa prima o poi sarebbe successo, e un messaggio di Marco questa notte me l’ha confermato: da rete Fastweb non si riescono a raggiungere IP della classe 5.0.0.0/8, assegnata in queste settimane a grossi ISP come Softlayer, Hetzner, OVH. Ne parlano qui, su HostingTalk.it. Leggendo poi questo topic su WebHostingTalk, scopro che il problema non è limitato a Fastweb, ma si verifica anche da altri ISP.

Ecco un traceroute da rete Fastweb verso un IP di Softlayer:

C:\Users\User>tracert 5.10.64.1

Traccia instradamento verso 5.10.64.1-static.reverse.softlayer.com [5.10.64.1]
su un massimo di 30 punti di passaggio:

  1    <1 ms    <1 ms    <1 ms  192.168.1.1
  2   226 ms    17 ms    17 ms  EDIT
  3    17 ms    16 ms    17 ms  EDIT
  4   492 ms    35 ms    17 ms  10.251.149.201
  5   122 ms    16 ms    16 ms  10.251.144.25
  6    47 ms   112 ms   164 ms  10.251.145.1
  7   537 ms   477 ms   250 ms  10.251.149.186
  8   351 ms    17 ms    17 ms  10.3.136.189
  9    41 ms    17 ms    20 ms  10.3.128.41
 10   135 ms    16 ms   471 ms  10.254.9.230
 11    69 ms    20 ms    21 ms  10.254.12.21
 12   150 ms    20 ms    20 ms  10.254.12.6
 13   125 ms    24 ms   417 ms  89.97.200.66
 14     *        *        *     Request timed out.
 15     *        *        *     Request timed out.
C:\Users\User>

Carino. Ecco cosa succede quando un grande ISP non rispetta gli standard che dovrebbero essere la base del suo lavoro. Crea un danno sia ai suoi utenti, che non riescono a raggiungere una parte di internet, sia alle entità a cui sono stati assegnati gli IP che lui usa in modo illecito.

Cosa fare quindi se vi trovate in una situazione simile, cioè se non riuscite a raggiungere alcuni IP (e quindi server)? Sarebbe totalmente sbagliato e inutile contattare il proprietario di quel nodo (server), perchè non ne ha colpa nè ha modo di risolvere il problema. La soluzione è chiamare il call center di Fastweb, bombardarlo, intasarlo giorno e notte ripetendo la segnalazione, perchè è una loro mancanza: offrono un servizio incompleto e non rispettano le RFC. Si tratta, a tutti gli effetti di un disservizio, quindi non esitate e soprattutto non accettate risposte che non contengano una promessa di immediata risoluzione del problema.

La parte più bella sta nel fatto che l’autorità (ICANN/RIPE) ha la possibilità di revocare le assegnazioni fatte a LIR (provider) che utilizzano senza averne titolo classi assegnate ad altri, come Fastweb sta facendo in questo momento. Se le segnalazioni all’autorità diventassero consistenti, Fastweb potrebbe rimanere completamente in mutande, senza più nemmeno un IP per far uscire i suoi utenti su internet. Meglio. Più IP disponibili per chi rispetta le regole.

E se invece siete voi proprietari di un server non raggiungibile da alcuni ISP? Anche qui, deve esser chiaro che non avrebbe senso (e non sempre sarebbe fattibile) richiedere a chi ve lo ha assegnato un nuovo IP “pulito”, o ritenere il vostro provider responsabile del problema.

Segnalate a ICANN/RIPE (tramite questo form) la violazione, perchè, come dicevo poco fa, Fastweb potrebbe pagarla davvero molto cara. Contattate voi stessi Fastweb, sia attraverso i canali di supporto ufficiali sia attraverso i contatti tecnici (reperibili tramite il RIPE), e, per finire, chiedete ai vostri utenti che stanno subendo un disservizio di fare lo stesso, chiedete che riportino il problema e che pretendano sia risolto in tempo reale. E’ davvero importante muoversi, perchè Fastweb sta danneggiando tutti.

Non sono un avvocato, ma immagino che sia i clienti Fastweb tagliati fuori da internet sia i proprietari dei server irraggiungibili possano chiedere pesanti risarcimenti al provider. E chissà che non si muova anche il CODACONS, che farebbe una delle prime mosse giuste e tecnicamente sensate della sua vita.

I LIR / AS a cui fossero stati assegnati gli IP “sfortunati”, potrebbero poi “convincere” gli ISP che creano loro tali problemi di raggiungibilità in diversi modi, più o meno leciti ma tutti visti negli anni: bloccando i peering, rendendo le loro reti completamente inaccessibili dagli ISP incriminati, droppando pacchetti a destra e a manca, in  modo che i clienti di questi ultimi, imbestialiti, aumentino la pressione.

Lo so, da tecnico non dovrei consigliare di “spammare” un call center e ripetere le segnalazioni, di solito non si fa così. Ma quando degli standard vengono violati tutto diventa lecito. “L’hai violato? Adesso assumi 250 persone per non far crollare il call center sotto le segnalazioni, e PEDALI, perchè non è così che si lavora.”.

Concedetemi un commento altamente tecnico nei confronti di Fastweb: “AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH”.

Ricordatevi quindi: seppellite di segnalazioni chi ha sbagliato e chi vi sta veramente creando questo disservizio, non prendetevela con chi ha rispettato le regole e non ha nessuna colpa. Telefonate, telefonate e telefonate ancora, e quando siete stanchi fate chiamare anche i vostri parenti dalle altre stanze della casa. E il giorno dopo richiamateli, per chiedere aggiornamenti o anche solo per salutarli.

Se volete che il problema venga risolto, insomma, sostituite per i prossimi giorni il numero della vostra ragazza in rubrica con il numero del loro callcenter.

Concludo con un meritato #EPIC FAIL per Fastweb. Ovviamente non sono loro cliente. Non vorrei diventarlo neanche se mi pagassero loro stessi per usare i servizi che offrono. Però, ho ordinato ieri un server da Softlayer e rischio di ritrovarmi un IP appartenente alle classi di cui abbiamo parlato fino ad ora. Con le conseguenze di cui abbiamo parlato fino ad ora.

UPDATE: E’ quasi l’una di notte, del 19 Maggio, e ho appena visto il primo traceroute andare correttamente a destinazione da rete Fastweb. Tutti gli IP di test che avevo usato, Softlayer, OVH, Hetzner, vengono ora correttamente ruotati. Un traceroute in memoriam:

Traccia instradamento verso 5.10.64.1-static.reverse.softlayer.com [5.10.64.1]: 

  1 <1 ms <1 ms <1 ms  39.235.148.254 
  2    30 ms    49 ms    27 ms  10.128.96.1 
  3    49 ms    29 ms    29 ms  10.3.231.210 
  4    32 ms    32 ms    34 ms  10.251.143.209 
  5    30 ms    27 ms    28 ms  10.251.138.27 
  6    25 ms    27 ms    29 ms  10.251.139.1 
  7    32 ms    27 ms    29 ms  10.251.143.194 
  8    37 ms    32 ms    27 ms  10.3.134.241 
  9    32 ms    27 ms    28 ms  10.3.128.46 
 10    33 ms    28 ms    29 ms  10.254.11.69 
 11    36 ms    29 ms    35 ms  10.254.1.77 
 12    33 ms    95 ms    41 ms  89.97.200.62 
 13    28 ms    29 ms    38 ms  26.26.127.54 
 14    31 ms    37 ms    39 ms  93.55.241.54 
 15    37 ms    28 ms    29 ms  26.26.127.69 
 16    38 ms    39 ms    38 ms  93.57.68.21 
 17    30 ms    38 ms    39 ms  93.57.68.5 
 18    35 ms    36 ms    29 ms  if-5-0-0.core1.RCT-Rome.as6453.net [195.219.163.9] 
 19    59 ms    58 ms    59 ms  if-11-0-0-0.tcore1.PYE-Paris.as6453.net [80.231.154.41] 
 20    56 ms    59 ms    75 ms  if-2-2.tcore1.PVU-Paris.as6453.net [80.231.154.17] 
 21    57 ms    63 ms    76 ms  xe-6-3.r03.parsfr01.fr.bb.gin.ntt.net [129.250.8.177] 
 22    84 ms    58 ms    59 ms  ae-1.r21.parsfr01.fr.bb.gin.ntt.net [129.250.2.224] 
 23    79 ms    62 ms    75 ms  as-4.r22.amstnl02.nl.bb.gin.ntt.net [129.250.3.84] 
 24    64 ms    67 ms    69 ms  po-1.r01.amstnl02.nl.bb.gin.ntt.net [129.250.4.71] 
 25    64 ms   115 ms    62 ms  ae11.bbr01.eq01.ams02.networklayer.com.64.20.81.in-addr.arpa [81.20.64.50] 
 26    88 ms    61 ms    58 ms  ae5.dar01.sr01.ams01.networklayer.com [50.97.18.237] 
 27    65 ms    58 ms    65 ms  po1.fcr01.sr01.ams01.networklayer.com [159.253.158.131] 
 28    72 ms    62 ms    58 ms  5.10.64.1-static.reverse.softlayer.com [5.10.64.1]

Notate gli hop numero 1, 13 e 15. Il primo usa un IP appartenente ad una classe assegnata ad APNIC, che potrebbe entrare in uso a breve creando nuovi problemi di raggiungibilità. Il 13 e il 15 fanno parte di una classe assegnata al Dipartimento della Difesa americano. Inutile ripeterlo, Fastweb non ha titolo per usare nessuna di queste classi.

Com’è che si diceva del lupo?

Giorgio

SPAM da parte di un parlamentare italiano

SPAM da parte di un parlamentare italiano

Ho deciso di partire in modo diretto, con un titolo spiazzante in pieno stile “G”. Voglio essere chiaro, raccontare i fatti (perchè è di fatti che parlerò) in modo completo, senza lasciare nulla nella nebbia, quindi mi tocca rinunciare all’essere conciso (visto che già scrivo raramente qui, spero me lo perdonerete). Per darvi un quadro completo dell’accaduto, devo prenderla parecchio larga e partire…

…dall’antefatto: il 9 Dicembre scorso, ricevo una mail, una newsletter, dall’indirizzo segreteria@patriziatoia.info. Arriva dal sito http://www.patriziatoia.info/, di una certa Patrizia Toia, “Vicepresidente del gruppo S&D al Parlamento Europeo”, Europarlamentare del Partito Democratico.

Sono un sysadmin, e sono in prima linea contro lo spam ogni giorno per permettere a varie persone di continuare ad usare le loro caselle email senza dover nuotare nella spazzatura. Quando una mail indesiderata passa attraverso i filtri mi innervosisco non poco. Ed ero particolarmente sicuro si trattasse di spam, perchè conservo tutte le conferme di iscrizione alle newsletter, e non ne trovavo nessuna in merito nella mia mailbox.

Non troppi lo sanno, ma oltre all’ottima coppia Spamassassin e Spamcop ci sono anche delle leggi che ci proteggono da tale “piaga” (consiglio queste due pagine di Paolo Attivissimo in merito).

Se fosse stata una mail normale, anonima, simile alle altre, lo confesso, l’avrei cancellata. Ma qui la situazione era diversa, questa mail era stata inviata da un (euro)parlamentare. Decido di rispondere alla newsletter, chiedendo chiarimenti:

Salve,

potrebbe gentilmente indicarmi come sono stato iscritto a questa newsletter, riportandomi nel caso l’indirizzo IP che ha effettuato l’iscrizione per conto mio e confermato la stessa?

Grazie

Cordiali Saluti
Bonfiglio Giorgio

La risposta da parte della segreteria della Toia, 3 giorni dopo, lascia ben poco spazio a (eventuali) dubbi:

Gentile dr. Bonfiglio,

non sono in grado di fornirle queste informazioni, ma se lo richiede posso cancellarla.

Saluti cordiali,

La segreteria

Parafrasando, non avevano la minima idea di quale fosse la provenienza del mio indirizzo nè avevano prove del fatto che io avessi mai dato il consenso a ricevere tali mail. Prove che, sia chiaro a tutti, per chi raccoglie in modo legale indirizzi email, consistono in non più di una riga in un database, che indica l’IP e data della registrazione e dell’avvenuta conferma della stessa; riga che si recupera e invia su richiesta in trenta secondi o poco più. Sono gli stessi dati che richiedono i gestori delle blacklist quando un IP viene segnalato come spam da più persone ma il suo contatto abuse nega l’accaduto.

Ma era natale, avevo poca voglia di litigare e poco tempo da perdere, quindi ho lasciato correre. Non ho richiesto la cancellazione per avere la possibilità di monitorare il flusso di spam nei mesi seguenti. Faccio notare ad un eventuale poco attento lettore che dire “non ho richiesto la cancellazione” è ben diverso da dire “mi sono registrato alla newsletter prestando il mio consenso al trattamento dei miei dati personali”.

E con questo si chiude l’antefatto.

Mi ero completamente dimenticato della vicenda, ma lo scorso 5 Maggio la storia si ripete: newsletter dall’indirizzo news@emanuelefiano.info, sito web http://emanuelefiano.info/, di tale “Emanuele Fiano”, membro (cito testualmente) “della IX COMMISSIONE (TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI) e del COMITATO PARLAMENTARE PER LA SICUREZZA DELLA REPUBBLICA”, parlamentare, Partito Democratico.

Questa volta si sale di un livello nella scala dello spam, in quanto si propone una iniziativa con relativi link e richiesta di “Parteciperò” su pagina Facebook di un evento (usata in modo scorretto, ma tant’è). E saliamo di un punto anche nella scala degli spammer, in quanto questa volta si tratta di un parlamentare italiano, membro della commissione “poste e telecomunicazioni”, che più di altri dovrebbe conoscere la legge sulla privacy e il significato di parole come “posta indesiderata”.

Mi ha fatto quantomeno sorridere il fatto che la lettera aperta pubblicizzata (no, spammata), firmata oltre che dallo stesso Emanuele Fiano da Michel Dreyfuss e Sara Elter, iniziasse con:

Chi scrive, è cittadino di questa Repubblica, ne osserva le Leggi e ne rispetta la Costituzione.

Insomma. Considerato che quella che stavo leggendo era una sua newsletter non richiesta, inviata in violazione della vigente legge sulla Privacy, avrei preferito leggere una più onesta versione di quella riga, ad esempio:

Chi scrive, è cittadino di questa Repubblica, ne osserva le Leggi (ad esclusione di quella sulla Privacy) e ne rispetta la Costituzione.

Il 6 Maggio, armato di molta pazienza, e forte della precedente esperienza di Massimo Cavazzini di cui avevo letto per caso tempo fa, rispondo alla newsletter ricevuta, mettendo in copia Fiano stesso (fiano_e@camera.it), il Garante, un’altra email indicata nel testo (letteracontromanifestazione@gmail.com) e il contatto tecnico del dominio emanuelefiano.info (pmol@mac.com) per richiedere dove fosse stato preso il mio indirizzo, ed eventualmente, prova del mio consenso dato per ricevere tali email:

Gentile Sig. Emanuele Fiano,

è con molto dispiacere che questa mattina ho accolto la sua mail che trova in calce. Un parlamentare, una persona eletta dal popolo per rappresentarlo di fronte alla legge, dovrebbe conoscere meglio di altri le leggi e normative in vigore. Mi riferisco, nello specifico, a quella sulla privacy, che sancisce l’obbligo di ricevere consenso da parte dell’interessato prima di inviare comunicazioni massive di tipo informativo o commerciale.

Può visionarla qui: http://escher.drt.garanteprivacy.it/garante/document?ID=228228. Ci sono precedenti interessanti di persone e/o aziende multate per tali pratiche (http://www.maxkava.com/spam/spam_intro.htm) sia in italia che all’estero (casi in cui si è arrivati addirittura a sanzioni penali).

Sono quindi con la presente a richiederle, ai sensi dell’articolo 7 del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Testo Unico in materia di protezione dei dati personali):

– Il nome, cognome ed indirizzo del titolare responsabile legale del trattamento;
– Se è in possesso di una mia dichiarazione con la quale vi autorizzo al trattamento dei miei dati personali (il mio indirizzo di e-mail), resa con le modalità previste dall’art. 13 del D. Lgs. 30/6/2003 n. 196;
– L’origine dei miei dati personali in suo possesso;
– Nel caso i dati fossero stati acquisiti da terzi, se questa terza parte è in possesso (oltre alle liberatorie precedenti) di una mia dichiarazione, resa anch’essa con le modalità sopra citate, con la quale la autorizzo alla diffusione dei dati;

Valga la presente anche come DIFFIDA all’ulteriore trattamento dei miei dati personali in suo possesso, con riserva di ogni azione e ragione anche per il risarcimento dei danni.

Richiedo inoltre l’immediata cancellazione di tali dati secondo quanto previsto dalle lettere b) e c) dell’art. 7 comma 3 del D. Lgs. 30/6/2003 n. 196.

In caso di mancato o inidoneo riscontro alla presente istanza entro il termine di 7 giorni, il sottoscritto si riserva, ai sensi dell’art. 145 del D. Lgs. 30/6/2003 n. 196, di rivolgersi all’autorità giudiziaria o di presentare ricorso al Garante per la protezione dei dati personali.

Cordiali Saluti
Giorgio Bonfiglio

Mentre raccoglievo dati sul caso, mi sono accorto di una strana somiglianza tra gli headers delle mail della Toia e quelle di Fiano. Nello specifico, nelle mail della prima notavo:

Received: from patrizia by server2.miospazio.net with local (Exim 4.69)

E in quelle del secondo:

Received: from segfiaem by server3.fattispazio.it with local (Exim 4.69)

Gli hostname dei server erano molto simili, e già mi avevano insospettito la struttura dei due indirizzi email e quei due domini “.info”. Anche la veste grafica dei due siti, avevo notato, aveva molti elementi di somiglianza.

Troppi legami, inizio a sospettare del fatto che i due casi di spam non siano poi così tanto separati. Il caso si stava facendo più interessante di quanto avessi inizialmente immaginato.

Non erano in programma, ma decido di fare ulteriori analisi tecniche per approfondire la question. Scopro in pochi minuti che i siti sono ospitati sullo stesso server, con IP 108.61.91.3 e che il contatto tecnico dei due domini è lo stesso: Paolo Molina, ARP scrl, Milano. Anche i nameserver autoritativi sono gli stessi, NS1.FATTISPAZIO.IT ed NS2.FATTISPAZIO.IT.

Strane coincidenze, insomma. Ricevo due mail spazzatura in sei mesi ed entrambe partono da siti creati dalla stessa webagency? A chi lavora nel settore, qualche immediato sospetto viene. Ma decido di continuare, guardando ai fatti, senza fare supposizioni.

C’entra poco con la questione ma avendo sotto gli occhi i dati di registrazione dei due domini mi permetto di far notare un dettaglio al Fiano e alla Toia: il regolamento ICANN (che per chi non lo sapesse è l’autorità che gestisce l’assegnazione dei nomi a dominio) impone che il contatto amministrativo (admin-c) di un determinato dominio sia il reale proprietario/utilizzatore. Più volte è stato chiarito che essendo quello il contatto adibito alla conferma di eventuali trasferimenti, questo non debba essere la webagency / webmaster che gestisce il sito web, bensì il reale “committente” utilizzatore.

Serve ad evitare che chi ha creato un sito per conto di qualcun altro possa appropriarsi del dominio o rendere difficile/impossibile il trasferimento dello stesso in caso di problemi con il cliente, ma serve anche perchè è un diritto di chi guarda da fuori sapere chi gestisce il sito web, di chi è, chi lo ha registrato e chi lo paga.

Ad oggi, 16 Maggio, non ho ricevuto risposta alcuna da parte di Fiano nè da parte del contatto tecnico. I 14 giorni entro i quali la legge impone io debba ricevere risposta alle mie domande scadono questa Domenica, 20 Maggio. Non credo riceverò risposte esaurienti, perchè io so bene a cosa mi iscrivo e per cosa presto il consenso.

Le parti in gioco sono diverse: i due politici, le relative segreterie (che probabilmente si sono occupate di inviare materialmente la newsletter) ed infine chi gestisce i due siti. Due catene da tre elementi, in cui uno è in comune. E sono sicuro che uno dei tre anelli di ogni catena abbia le risposte che cerco (e che, lo ricordo, è mio diritto avere): da dove arriva il mio indirizzo, chi materialmente l’ha messo in quel database, perchè l’ha fatto, su richiesta di chi altro.

Un elemento di ognuna delle due catene gioca sporco, e almeno uno degli altri due anelli pecca di negligenza. Spiego meglio: se, come qualcuno mi ha suggerito, fosse stato un portaborse a gonfiare il database di indirizzi, avremmo una webagency che permette bombardamenti di email dai suoi server ed un politico poco attento. Se fosse stato il politico a gonfiare il database, avremmo una webagency poco attenta agli attacchi spam in uscita. Se invece fosse stata la webagency a riempire il database, avremmo un politico che non si è chiesto come facesse quel database ad essere così pieno di indirizzi.

In ogni caso, salta all’occhio la mancata risposta della webagency alla mia mail; chi fa il mio stesso lavoro sa quanto sia critico gestire in near-realtime le segnalazioni, e rispondere a queste in tempi celeri, per evitare di far innervosire chi sta subendo un disagio o anche il “semplice” blacklisting degli IP coinvolti. Credo di non aver mai ritardato più di 24 ore nella risposta ad una segnalazione ricevuta, e qui sto aspettando da dieci giorni.

Non so chi abbia sbagliato, ma il cerchio è bello stretto, e, come ho dimostrato, le possibili responsabilità sono fortemente legate tra di loro.

Sento quindi la necessità di chiedere alle parti che ho citato chiarimenti, qui, in modo trasparente, davanti a tutti, e che siano presi adeguati provvedimenti contro chi ha sbagliato per evitare il ripetersi di simili spiacevoli e fastidiosi inconvenienti in futuro.

Si tratta di un mio diritto, da esercitare nei confronti di due persone che, a vario titolo, almeno in teoria, rappresentano il popolo italiano di cui io faccio parte e che dovrebbero essere le prime a rispettare le leggi e a farle rispettare ai propri collaboratori.

Giorgio